Art. 34 della Costituzione. La mixité entra in classe

Non lascia dubbi la nostra carta Costituzionale: “La scuola è aperta a tutti” recita il comma 1 dell’articolo 34. Lo Stato deve organizzare le scuole in modo da ospitare tutti i bambini senza eccezione alcuna e offrendo loro opportunità di istruzione e formazione ottimali. Non esiste altra Costituzione europea che ambisca a un progetto democratico così ambizioso.

La discussione tra i padri costituenti su questo tema fu una delle più accese e coinvolgenti, con la sinergia di tutta l’Assemblea attorno a un’idea di scuola come organo vitale della democrazia nascente. Per Piero Calamandrei, l’articolo 34 è indubbiamente il più importante dell’intera Costituzione: “La scuola è aperta a tutti – afferma in un suo intervento pubblico nel 1950 –. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. […] La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti” (Calamandrei, 1950, p. 89).
È nella scuola di tutti che è possibile offrire a ogni futuro cittadino la stessa formazione, la stessa educazione e le stesse opportunità cercando di superare condizioni famigliari e sociali diverse di partenza. Anche per i figli di famiglie abbienti, per i quali l’istruzione era già da tempo garantita, la scuola diventa il luogo in cui incontrare e confrontarsi con compagni che hanno storie, esperienze, appartenenze diverse dalla propria. “Auguro a tutti i ragazzi di frequentare scuole nelle quali abbiano compagni di diversa educazione ideologica religiosa e politica – afferma Aldo Capitini, qualche anno dopo –: è evidente che una scuola ideologicamente uniforme e chiusa può molto più facilmente portare all’ostilità e alla guerra, perché educa a considerare le diversità come insopportabili e da eliminare in nome dell’ideologia appresa” (Capitini, 1967, p. 295). Incontrare gli altri nella scuola di tutti è una straordinaria opportunità per il nostro tempo, tuttavia mai scontata nella sua realizzazione.
Nel tempo, questo pronome “tutti” ha assunto sempre nuove declinazioni, mostrando come il progetto democratico sia una strada da costruire passo dopo passo, varcando sfide antiche e nuove. Senza alcuna pretesa di esaustività, richiamiamo qui alcune date particolarmente significative lungo questo percorso di democratizzazione.

1955

– da metà degli anni Cinquanta fino a tutti gli anni Sessanta del Novecento si assiste a un imponente fenomeno di migrazioni interne da Sud a Nord e dalle campagne alle città, che interessa circa nove milioni di persone, con il passaggio dell’Italia da paese agricolo a paese industriale. Il miracolo economico diventa l’occasione per un rimescolamento senza precedenti della popolazione italiana che sui banchi di scuola diviene quotidiano e fattivo (Ginsborg, 1989). I programmi didattici per la scuola primaria del 1955 registrano questa grande novità, sottolineando l’importanza di promuovere la lingua italiana in classe, evitare l’uso dei dialetti locali, approfondire lo studio della storia e della geografia per favorire il senso di appartenenza alla nazione (Claris, 2002).

1963

è degli anni Sessanta l’introduzione delle classi miste per maschi e femmine. Questo provvedimento segna un cambiamento epocale per la vita della classe, fino ad allora pensata quasi esclusivamente su un modello maschile. La riforma scolastica della “scuola media unificata” (1963), che non distingue più tra percorsi di istruzione e percorsi di avviamento al lavoro, segna anche l’apertura delle classi a tutte le bambine e ragazze per le quali è obbligatorio seguire lo stesso percorso di istruzione dei coetanei maschi. Una piccola grande rivoluzione che segnerà una nuova fase nella promozione della parità dei generi entro tutta la società.

1977

– gli anni Settanta segnano un nuovo passaggio fondamentale nell’attuazione del principio costituzionale. La Legge 517 del 1977, in particolare, mira a tutelare i diritti degli alunni disabili che possono cominciare a frequentare le stesse scuole e le stesse classi dei compagni normodotati (Canevaro, 2007). Nella stragrande maggioranza dei Paesi europei permangono ancora oggi le classi e le scuole speciali, mentre in Italia bambini e ragazzi con forme anche gravi di disabilità fisica e mentale sono accolti nelle classi di tutti. Un mutamento straordinario nell’esperienza scolastica degli alunni disabili e dei loro compagni che si trovano a crescere gli uni a fianco agli altri.

1985

– da metà degli anni Ottanta e per tutti gli anni Novanta, crescono i flussi migratori e l’Italia diviene a tutti gli effetti un Paese di immigrazione. La vita della classe si arricchisce di nomi, storie, esperienze di alunni stranieri per lingua, origine e cittadinanza. I programmi per la scuola elementare del 1985 registrano questa grande novità, introducendo i primissimi riferimenti all’educazione interculturale, la necessità di superare l’egocentrismo, considerare tutti i cittadini uguali di fronte alla legge e promuovere lo studio di una “storia dell’umanità” che guardi oltre i nostri confini nazionali ed europei (Claris, 2002).

1989

– portano questa data i primi documenti ministeriali che parlano di alunni “vissuti nei campi nomadi”, la cui vita scolastica deve essere il più possibile promossa e incrementata. Pur con molte ambiguità, i documenti esprimono la necessità di adottare un’ottica interculturale nelle relazioni con bambini e famiglie Rom e Sinti, fino ad allora gestiti alla stregua di alunni “disabili” o alunni “stranieri”, anche quando con cittadinanza italiana (Sarcinelli, 2014).

1999

la presenza di alunni stranieri in classe diviene negli anni Novanta un tratto ormai diffuso delle nostre scuole, specialmente nelle grandi città del Nord. Alcuni provvedimenti, tra i quali il DPR 394/99 Art. 45 (Commi 1-2), sottolineano come i minori stranieri presenti sul territorio nazionale, indipendentemente dalla condizione giuridica della propria famiglia, possano essere iscritti a scuola in qualsiasi periodo dell’anno scolastico. L’arrivo in Italia da un altro Paese, al seguito dei propri genitori, coincide per molti bambini con l’entrata in classe e la socializzazione a una nuova lingua e a una nuova cultura. La gestione di questi nuovi arrivati è diventata nel tempo sempre più organizzata e meno improvvisata.

2010

– L’anno scolastico 2009/2010 segna un nuovo passaggio importante nella conformazione delle classi d’Italia. Per la prima volta il numero di alunni stranieri nati in Italia (le cosiddette seconde generazioni) costituisce più della metà dei cosiddetti “alunni stranieri”. Il cosiddetto sorpasso delle seconde generazioni svela come la presenza di alunni di diverse origini, nati e cresciuti nel nostro Paese, costituisca ormai un tratto diffuso e stabile delle nostre scuole (Miur, 2010).

Siamo nel 2022 e alle porte delle nostre scuole bussano gli alunni ucraini in fuga dalla guerra. Sono profughi, accolti con un provvedimento di emergenza (il DPCM, 28 marzo 2022), volto ad accogliere in maniera temporanea chi fugge da una guerra di cui non si conoscono i confini temporali. Quei bambini e quei ragazzi arrivano nelle nostre scuole ma mantengono un legame, anche quotidiano, coi loro insegnanti rimasti in Ucraina e coi compagni sparsi per l’Europa. La didattica a distanza da poco sperimentata con la pandemia, modifica i confini dell’accoglienza e della scuola. E mette in gioco ancora una volta la scuola aperta a tutti. Accogliere insieme a questi alunni e famiglie, i loro legami a distanza, è un’opzione fondamentale.