Fratelli e sorelle. La prima scoperta dell’altro

Scoprendo gli altri, scopriamo noi stessi. Il neonato, già dalle prime settimane di vita, protende le mani verso l’esterno, alla ricerca di qualcosa che è fuori di sé. Non è un oggetto specifico a muoverlo, bensì la relazione, il legame con qualcun altro.

La prima di queste scoperte, è quella dell’altro sesso. Il bambino piccolo scopre di essere un maschio, solo quando incontra le bambine e comprende di non essere come loro. All’inizio potrà rimanere sorpreso, deluso o spaventato, ma poi prenderà meglio coscienza di se stesso. La bambina nera scopre il colore della sua pelle, solo quando incontra bambini di un altro colore, e il bambino che sta bene si rende conto di essere sano, solo quando incontra dei bambini malati. É un’esperienza che possiamo continuare a fare anche da adulti, prendendo coscienza delle nostre condizioni economiche di fronte a qualcuno che non possiede nulla, accorgendoci del nostro stile educativo a confronto con quello di un’altra persona o di un’altra famiglia (anche solo quella dei nostri suoceri!).

Come pensare di privare i nostri bambini di questa fondamentale esperienza di crescita? La mescolanza dei generi è una delle prime conquiste delle nostre democrazie. Questo non significa però che si sia maturata una capacità educativa rispettosa dei generi e capace di valorizzarli. Molto resta ancora da imparare e da sperimentare.
Il caso francese è di particolare interesse. In Francia, è dagli anni Cinquanta che maschi e femmine hanno potuto convivere e crescere nella scuola di tutti. La parola-chiave di questa straordinaria esperienza è mixité, termine francese traducibile in un italiano meno efficace come “mescolanza” e riferita specificatamente ai rapporti di genere.
L’introduzione di scuole e classi miste è la diretta conseguenza dell’approvazione nel 1944 della Costituzione della Repubblica francese, che introduce il suffragio universale e sancisce la necessità di offrire pari opportunità a cittadini e cittadine, in tutti gli ambiti della società. La scuola viene identificata come lo strumento principale attraverso cui prepararsi a diventare cittadini e cittadine dello Stato sovrano, senza differenze di trattamento (Zaidman, 1996). Creare dei luoghi separati per i bambini e le bambine significherebbe discriminare, segregare, conferire opportunità diverse agli uni e alle altre.
In tempi forse fin troppo rapidi, la mixité è divenuta una scelta ovvia, scontata, quasi “naturale”, che esclude però una riflessione di carattere pedagogico sui ruoli di genere e sulla gestione e valorizzazione di ambienti educativi misti. Solo alcuni tradizionalisti religiosi, che proclamano la divisione dei sessi in tutti gli ambiti della formazione, o alcune femministe, che temono che le ragazze non possano realizzarsi pienamente in presenza di coetanei maschi, pensano ancora che ci debbano essere luoghi di formazione separati.
Non è un caso se particolarmente limitata è la letteratura scientifica sul tema, più spesso concentrata su altri tipi di relazioni, interculturali, intergenerazionali, interreligiose e chi più ne ha più ne metta! Al centro dei pochi contributi esistenti, vi sono alcuni temi ricorrenti che fanno emergere problematiche comuni a contesti culturali diversi (Mapelli, 2002; Taurino, 2005):

  • la riproduzione, da parte della scuola, di ruoli di genere “tradizionali” veicolati dalla società;
  • la diffusione di stereotipi di genere, sia tra pari sia tra insegnanti e alunni (veicolati talvolta anche da manuali e libri di testo);
  • la creazione di ambienti e funzioni nettamente distinti per maschi e femmine fin dalla scuola dell’infanzia (elenchi separati, file distinte, giochi separati);
  • la presenza di dinamiche di auto-segregazione spesso ritenute “spontanee”, in realtà indotte da un sistema sociale fortemente basato sulle differenze tra i generi, fin dalla scuola dell’infanzia;
  • la diffusione di fenomeni di violenza che si colorano di sessismo*, talvolta celato, subdolo e non gestito;
  • la demonizzazione (da parte dei pari e degli insegnanti) di comportamenti ritenuti non aderenti al modello di genere e i conseguenti vissuti di esclusione di chi li subisce (Delamont, 1980; Zaidman, 1996)

 

Quest’ultimo punto è di particolare rilevanza per la nostra riflessione sulla formazione di classi miste. É pensiero comune che vi sia una naturale predisposizione a giocare con determinati giochi se si è maschi e altri se si è femmine, quasi vi fosse un “destino biologico” segnato fin dalla nascita (Zaidman, 1996). Il continuo “bombardamento” di pubblicità fortemente caratterizzanti i ruoli di genere sarebbe secondo quest’ottica la conseguenza e non la causa di tale approccio nei bambini.
Un modello rigido e dicotomico di rappresentazione delle preferenze e delle attitudini di genere viene riprodotto anche in fasi successive della crescita e della formazione, come quando si afferma in un liceo classico che “le ragazze vanno meglio a scuola”, o in una scuola media che “i maschi sono più bravi nello sport”.