DSA: disturbo specifico degli adulti
Dislessico, disgrafico, discalculico, disortografico… l’elenco dei disturbi dell’apprendimento è ricco e variegato. Alex, un ragazzo di dodici anni, ha scritto un post divenuto virale. I disturbi di apprendimento sono un problema degli alunni o degli adulti? Un’occasione privilegiata per riflettere su che cosa significhi scuola delle diversità e personalizzazione degli apprendimenti.
Ogni alunno è unico!
Anche la scelta delle parole non è casuale: finché guarderemo alla differenza con le lenti della mancanza o della difficoltà (dis-abilità, disturbo, svantaggio), non usciremo da quella logica compensativa che ci spinge a voler normalizzare la diversità e riportarla a un canone.
Lo spiega bene Alex: c’è una ricerca quotidiana di omogeneità. Ai ragazzi con DSA vengono dati schemi, mappe, verifiche semplificate come se fossero strumenti sempre validi, la panacea di tutti i mali… Ma così non è! Da quando modi e ritmi differenti di imparare sono diventati un problema nella nostra scuola?
Non è l’alunno a doversi adattare alle metodologie di lavoro dell’insegnante, ma viceversa. Ognuno è diverso, ognuno è unico: riflettiamo su come avvicinarci al modo di imparare e interpretare la realtà proprio di ogni alunno.
Stop alle etichette!
Non è un caso che una ragazza con un disturbo specifico della lettura diventi “una DSA”; non è un caso che un ragazzo la cui famiglia viva una difficoltà socioeconomica sia individuato come “un BES”. La sovrapposizione tra diversità dei modi di apprendere, letta con le lenti della difficoltà, e la persona è un rischio a cui non possiamo cedere: ogni alunno è una persona con interessi, passioni, attitudini, punti di forza, aspirazioni. Come spiega Michele Zappella in Bambini con l’etichetta (Feltrinelli, 2021) ragionare per tabelle di marcia e interpretare come ritardo di acquisizione di competenze tempi di apprendimento differenti a quelli intesi come norma può portare a diagnosi erronee con conseguenze peggiorative per il benessere scolastico e di vita degli alunni.
L’alunno medio non esiste, così come non esiste il prototipo del ragazzo con DSA. L’intervento educativo deve basarsi sulle caratteristiche individuali della persona, non su quelle che erroneamente sono intese come caratteristiche di una categoria.
Delegare agli specialisti, solo se necessario
Le parole di Alex sono chiare: l’obiettivo spesso non è supportare gli alunni a trovare i modi a loro più congeniali per imparare, ma togliere agli adulti un elemento di disturbo. Proprio per questo all’insorgere delle prime difficoltà i professionisti della scuola decidono di cedere il proprio mandato educativo alle professionalità sanitarie, nella convinzione che una certificazione tuteli il ragazzo che incontra difficoltà rispetto a ritmi ritenuti standard e metta la scuola nella condizione di poter fornire supporto.
Ma davvero come insegnanti e come educatori abbiamo bisogno di un documento dell’ASL per mettere in moto il nostro sapere pedagogico e costruire con creatività itinerari educativi e didattici che si adattino meglio alle necessità degli alunni?
Se fornire strumenti per favorire l’apprendimento è fondamentale per chi ne ha realmente bisogno, attribuire con eccessiva disinvoltura etichette a ogni stile particolare di apprendimento rischia di allontanarci dalla straordinaria dinamicità e imprevedibilità delle intelligenze dei nostri alunni.
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Vignetta di Margherita Allegri – margheritallegri.blogspot.com
Il testo di Alex, che da un paio di settimane sta facendo il giro del web...
Valerio Ferrero
Docente di scuola primaria e dell’infanzia presso il Miur e Teacher Expert in Philosophy for Children, è attualmente dottorando di ricerca in Scienze psicologiche, antropologiche e dell’educazione presso l’Università degli Studi di Torino. Si occupa di fattori vecchi e nuovi di disuguaglianza scolastica e come contrastarli nella scuola di oggi.
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