INVALSI: davvero va così male?

Come lo scorso anno, anche quest’estate l’uscita del “Rapporto INVALSI” sta scatenando titoli di giornali e post sui social network. Le performance degli studenti italiani peggiorano, aumentano i divari territoriali, crescono le bocciature e la dispersione scolastica (implicita ed esplicita).

Chi nasce in una famiglia con scarsi mezzi economici e bassa scolarizzazione va peggio a scuola, già dalla primaria. I punteggi ottenuti al Nord sono superiori a quelli ottenuti al Sud.

La situazione è davvero come ci viene raccontata?

Il problema esiste e non va ignorato. Quasi il 10% della popolazione studentesca termina il proprio percorso scolastico senza aver acquisito le competenze di base. Si tratta di un dato che dovrebbe farci riflettere e mettere in discussione la scuola, che con la sua organizzazione e le sue metodologie di lavoro consolidate rischia non solo di riprodurre le disuguaglianze presenti ma soprattutto di crearne di nuove.

Dire che il 49% degli studenti non comprende un testo è fuorviante, perché in realtà stiamo sommando i dati dei livelli di abilità più bassi proposti da INVALSI che indicano una scarsa competenza in lettura, non l’incapacità di capire il significato di un testo.

Come sottolinea Cristiano Corsini, dobbiamo smettere di dare letture semplificate a un quadro complesso come quello restituito da INVALSI. Le prove valutano alcune abilità sull’intera popolazione studentesca, ma non riescono a rilevare competenze e capacità dei singoli, poiché appunto si concentrano solo su specifici domìni di conoscenza (italiano, matematica, inglese).

Se pensiamo che INVALSI ci proponga l’istantanea dei talenti delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi stiamo perciò commettendo un errore gigantesco.

Un Paese sessista e con forti divari territoriali

Ciò che ci consegna INVALSI, piuttosto, è l’immagine di un Paese sessista con profondi divari di genere: bambini e ragazzi ottengono risultati migliori in matematica rispetto alle ragazze, che invece punteggi hanno superiori in italiano e inglese. Non è un problema da poco: la scarsa presenza femminile negli ambiti STEAM e il basso protagonismo maschile nelle professioni educative e di cura viene coltivato già a partire dalla scuola primaria.

In generale, i punteggi ottenuti peggiorano rispetto allo scorso anno e con il progredire del percorso scolastico crescono i divari tra Nord e Sud, soprattutto in matematica.

Come utilizziamo questi dati?

Il punto non è fermarsi alla lettura dei dati, ma immaginare soluzioni e possibili percorsi di miglioramento e innovazione, in ottica pedagogica. Estendere il tempo scuola, sia alla primaria sia alla secondaria, sperimentare una didattica meno frontale, legare il lavoro disciplinare ai talenti e alle attitudini degli studenti, senza pensare che ci siano percorsi prestabiliti, sono tre possibili spunti da cui partire per non fermarsi a una lettura inquisitoria e a un utilizzo strumentale dei dati INVALSI, a livello politico e di progettualità degli insegnanti.

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Autore immagine: p_ponomareva
Ringraziamenti: Getty Images/iStockphoto