Le madri presenzialiste nella scuola italiana
Una donna è in sala parto, il marito le tiene di fronte il cellulare: vuole assolutamente presenziare al colloquio con le insegnanti del figlio più grande mentre mette al mondo il secondogenito.
La scena parrebbe surreale ma è la versione caricaturale di un fatto realmente accaduto: in una scuola di una grande città si presenta davanti alle insegnanti un padre col cellulare in mano, è collegato con la moglie che ha da poco partorito in ospedale ma desidera esserci al colloquio.
Come abbiamo già spiegato in un altro post, la scuola italiana è nettamente connotata al femminile a livello di personale docente.
Ma la disparità di genere è evidente anche a livello di partecipazione dei genitori alla vita della scuola. Se oggi è più facile vedere un padre che accompagna i figli a scuola o che si candida come rappresentante di classe, ci sono circostanze nelle quali le madri sono ancora le protagoniste assolute della vita scolastica dei figli.
Basti pensare ai momenti di inserimento e ambientamento al nido e alla scuola dell’infanzia dove la presenza materna è data per scontata, e quando il ruolo è svolto da un padre necessita di spiegazioni e giustificazioni agli occhi di insegnanti ed educatrici non di rado perplesse.
Ma basti pensare anche al ruolo nettamente più attivo delle madri nelle chat dei genitori. Di rado accade che un padre partecipi al mattino di un giorno feriale a una discussione attorno al regalo da fare alle maestre per Natale o che chieda informazioni sui compiti a casa all’alba della domenica mattina.
Ma è sempre positiva questa intensa partecipazione alla vita scolastica dei figli?
Ci sembra di vedere all’opera anche nel contesto scolastico il “mito della maternità” descritto da Alessandra Minello nel suo libro Non è un paese per madri (Laterza 2022). Le donne dedicano al ruolo di accudimento un investimento notevolissimo in termini di tempo ed energie, talvolta oltre i bisogni e le necessità di bambini e ragazzi. Siamo il Paese in Europa che mette al mondo meno figli ma che dedica maggiore tempo e cura ai pochi figli che ha, con risvolti non sempre positivi in termini di autonomia dei figli e realizzazione personale e lavorativa delle madri.
E se fossero le madri a dover fare un passo indietro?
Scopriremmo che i nostri figli possono fare i compiti in autonomia e che le chat dei genitori, se proprio necessarie, dovrebbero servire soltanto per rapide comunicazioni di servizio. Scopriremmo che l’inserimento al nido o alla scuola dell’infanzia funziona benissimo con mamme, papà, nonni e nonne, e che – se in sala parto ci deve andare per forza la mamma (!) – ai colloqui con gli insegnanti se la cava benissimo anche il papà.
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Vignetta di Margherita Allegri – margheritallegri.blogspot.com
Anna Granata
Professoressa associata di Pedagogia presso il Dipartimento di Scienze umane per la formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-Bicocca. È autrice di libri, saggi e articoli su riviste scientifiche e divulgative attorno ai temi della mixité come risorsa educativa e formativa.
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Cara Anna, da papà che cerca di esserci il più possibile, vivo in prima persona ‘l’assedio’ delle mamme. Ciò che mi turba, a riguardo, però, è ben altro. La scuola non chiede ai genitori presenze significative, se non sporadicamente e per lo più strumentalmente. Questo spesso ‘obbliga’ papà e mamme a ritagliarsi ruoli ridicoli ( quelli descritti) per elaborare il lutto di un’esclusione dal processo di apprendimento, soprattutto dei primi anni, che con buona pace dell autonomia delle nostre piccole e dei nostri piccoli, potrebbe essere ampiamente ridiscussa, con solide ragioni a favore di un netto capovolgimento di priorità anche didattiche. Perché se si parla di comunità educante non si può scimmiottare quando va bene un’idea ancillare della famiglia senza includerla in processi partecipativi reali, dentro la scuola. Che sia difficile da comunicare alla maggior parte dei genitori, che sia difficile motivarne un’altra grande parte, questo è fuori discussione, ma non esime la scuola dal tentare di continuo questo slancio inclusivo delle famiglie, verso un’idea di comunità educante che provi davvero a essere guida di un cambiamento radicale del paradigma scuola. Siamo nel 2022, ma respiro aria della mia infanzia, di quarant’anni fa, ogni volta che provo soltanto a portare piccoli ‘pezzi’ di riflessioni simili dentro la scuola di mia figlia e del nostro territorio. Per non parlare delle 5-6-7 ore seduti ogni giorno a 6 anni, nel 2022: assurdo anche solo per qualunque pediatra alle prese con obesità precoci e simili patologie di noi presunte famiglie benestanti. Mi fermo qui, sperando in un contesto più diretto per continuare a parlarne. Grazie per L occasione come sempre preziosa di riflessione. Marco Zanchi