L’orologio impazzito di una madre-lavoratrice

Quella delle madri e dei padri lavoratori è una pista ad alta velocità, lastricata da ansie, ritardi e sensi di colpa. Lo sa bene chi la percorre dal lunedì al venerdì.

Nel 1978 Laura Balbo, sociologa e madre di tre figli, parlava per la prima volta di “doppia presenza” delle donne nel contesto famigliare e in quello professionale. Sono passati molti anni, ma crescere figli e portare avanti una carriera professionale è ancora oggi oggetto di critiche e giudizi, rivolti in particolare verso le madri lavoratrici. Metteteci la suocera, la vicina di casa, le educatrici del nido da una parte, il capo (o la capa) e i colleghi workaholic dall’altra: ognuno ha da ridire su chi letteralmente corre per riuscire a gestire famiglia e lavoro.

È d’altra parte noto come dopo la nascita del primo figlio, molte madri-lavoratrici siano costrette a rinunciare alla professione. Una questione dolorosa per le dirette interessate ma non solo. In gioco, ci sono niente meno che l’occupazione femminile (a beneficio delle donne, delle famiglie e dell’economia di un paese), la sfida demografica (le donne che lavorano più facilmente decidono di avere più di un figlio) e il futuro delle nuove generazioni (il benessere del bambino è intimamente connesso al benessere della famiglia).

Rigidità e precarietà dei sistemi lavorativi da una parte, scarsa accessibilità e rigidità dei servizi per
l’infanzia dall’altra, fanno sì che vivere la doppia presenza sia sempre più un mestiere da “equilibriste” come sottolinea di anno in anno il report di Save the Children dedicato alle madri lavoratrici.

https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/le-equilibriste-la-maternita-in-italia-2022

Cosa possiamo fare per contrastare questa dinamica, acuita ulteriormente dalla crisi e dalla pandemia?

La prima risposta è politica e strutturale. Abbiamo bisogno di servizi per l’infanzia, aperti e flessibili, a misura di bambini e bambine ma anche a misura di madri e padri, accessibili a tutti. Oggi solo un bambino su quattro in Italia trova posto in un asilo nido, quasi sempre con rette molto elevate. Anche quando questo posto c’è, i tempi del servizio (a partire dal suo avvio a settembre inoltrato) non collimano coi tempi del lavoro.
D’altra parte, i contesti lavorativi faticano ad adottare flessibilità e apertura verso le esigenze dei genitori lavoratori.
La seconda risposta è formativa e culturale. Abbiamo bisogno di cultura dell’infanzia nei luoghi di lavoro.
Lo aveva chiaro Adriano Olivetti coi suoi primissimi nidi aziendali degli anni Quaranta a Ivrea, dedicati ai figli delle operaie. Ma abbiamo bisogno nondimeno di cultura del lavoro nei nostri servizi per l’infanzia: prendersi cura di un bambino implica conoscere le fatiche delle madri e dei padri in questo periodo di crisi, la precarietà di contratti e condizioni lavorative, il peso del gender gap in famiglia e al lavoro, la difficoltà concreta di partecipare a una riunione al nido alle 15 di un giorno lavorativo!

Io comincerei col portare gli operatori dei servizi per l’infanzia un giorno in azienda, e i dirigenti
d’azienda un giorno in un asilo nido… ovviamente di corsa!

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Vignetta di Margherita Allegri – margheritallegri.blogspot.com