Integrare o segregare? Il nuovo decreto dedicato agli alunni stranieri – L’editoriale di Anna Granata per “Avvenire”
Testo pubblicato il 05/09/2025 su “Avvenire”
Mentre negli Stati Uniti Trump annuncia nuove restrizioni per gli studenti stranieri e la destra tedesca propone di rivedere le politiche di inclusione scolastica, arriva inaspettata un’iniziativa del governo Meloni per l’accoglienza degli alunni immigrati. Con il Decreto Scuola e Sport (71/2024), entrano in aula quest’anno mille docenti di italiano per stranieri: un inedito segno di attenzione nei confronti di questi alunni o un modo per confinarli gradualmente in spazi separati?
Quello dell’accoglienza non è un tema fra tanti ma il cuore stesso del mandato costituzionale di “scuola aperta a tutti”, pensata dai nostri padri e madri costituenti come il luogo dove coltivare il migliore antidoto alla guerra. Il nostro Paese è l’unico in Europa a non prevedere classi separate e preparatorie per alunni migranti e ha maturato negli anni svariati metodi per affrontare la sfida della piena accoglienza dei nuovi arrivati. L’iniziativa di assunzione di mille docenti specializzati si inserisce nel solco di questa tradizione o ha l’obiettivo di tradirla? Quali sono gli effetti di un simile provvedimento sulla vita quotidiana della scuola plurale?
Un primo effetto riguarda l’implemento dei processi di segregazione scolastica. Il decreto prevede che le classi destinatarie del provvedimento debbano avere almeno il 20% di alunni neoarrivati in Italia, iscritti per la prima volta al sistema scolastico italiano e del tutto privi delle competenze linguistiche di base in lingua italiana. Le nostre classi però, anche nei centri urbani più multiculturali, sono organizzate in base a criteri di mescolanza, volti a evitare fenomeni di ghettizzazione di alunni neoarrivati. Se guardiamo poi ai dati più recenti del Ministero, gli alunni neoarrivati sono il 3,2% della platea di studenti con retroterra migratorio, costituendo lo 0,4% della popolazione studentesca totale. Come non immaginare che, in contesti di precarietà e carenza di docenti, le scuole si sentano invitate a creare classi “ghetto”, per poter disporre di un insegnante in più specializzato e stabile?
Un secondo effetto riguarda la qualità della didattica per l’apprendimento della lingua italiana. Ricerca scientifica ed esperienza sul campo delle scuole ci dicono da più di trent’anni che le iniziative di insegnamento dell’italiano come lingua seconda, per essere efficaci, debbano essere accompagnate da un processo più ampio di accoglienza, valorizzazione delle lingue madri degli alunni, costruzione di rapporti fiducia e interscambio con le famiglie. Perché non implementare queste iniziative piuttosto che tornare all’anno zero della scuola interculturale?
Sorprende a tal riguardo che il decreto preveda la possibilità per le scuole primarie e secondarie di stipulare accordi con i Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (noti come CPIA) per l’accertamento delle competenze in lingua italiana degli alunni neoarrivati. In questo modo si delegherà a un ente esterno alla scuola – nato per istruire soggetti adulti e non bambini e ragazzi – un compito delicatissimo e cruciale per avviare un’accoglienza positiva.
Un terzo effetto riguarda l’impatto che questa misura potrà avere sulle professionalità dei docenti. Da anni, anche nell’ambito dell’inclusione degli alunni con disabilità, si considera superata l’idea del docente di sostegno interamente dedicato a questa categoria di studenti, preferendo una figura che, in sinergia con gli altri docenti, contribuisca a modificare il contesto per renderlo più attento ai ritmi di apprendimento e alle esigenze dell’intera classe. Perché non pensare di rilanciare la copresenza di due o più docenti in classe, reclutati alla pari, che consenta di avviare una didattica attiva e permetta ai docenti di gestire insieme le numerose sfide delle classi eterogenee?
“La scuola la fanno i maestri e non i ministri”, scriveva Manara Malgimigli circa un secolo fa. Una massima valida ancora oggi: sono convinta che anche un provvedimento di questo tipo, intenzionalmente orientato verso percorsi di esclusione e ghettizzazione, possa essere declinato in prassi virtuose da parte di scuole capaci di tenere saldi i principi costituzionali di accoglienza e inclusione. Resta la preoccupazione per una deriva politica, nazionale e globale, che sembra aver smarrito proprio quei principi fondanti.
© Avvenire

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